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Cocktail marocchino

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Dal Marocco mi aspettavo un vero viaggio e non mi ha deluso col suo mix di vitalità e tradizione, di spazi senza fine e vicoli affollati, di cultura Berbera e Araba insieme, con influenze, a volte davvero forti, di ebraismo e vecchia Europa, di Paolo Cavallucci

Cocktail marocchino

E' la nostra prima volta in Africa, ed anche fuori dell'Europa, ma sono tranquillo da quando ho letto proprio su Viaggiatori On Line che "il Marocco è una buona meta per il fai da te", anche senza esperienza".

Così mi perdo, dall'alto dell'aereo, sulla piattezza sottostante di un uniforme marrone chiaro in alcuni punti tendente al fango, finché tutto non cambia e si colora negli ultimi cinque minuti di volo. Una volta a terra, al contrario, alzo gli occhi al cielo di un azzurro che pare quasi dipinto. Geograficamente, sono appena fuori casa, eppure non potevo sembrare più lontano.

Dei Consigli per il Marocco dei Viaggiatori On Line ho seguito anche quello di lasciare subito Marrakech, per trascorrerci gli ultimi giorni del viaggio. Con l'auto a noleggio, puntiamo decisi verso l'oriente marocchino dominato dal Sahara. Prima si sale parecchio sulla catena dell'Atlante, poi si attraversano lande rossicce spaccate da gole impressionanti, infine si scende in lunghe vallate già desertiche ma punteggiate da verdi palmeti, sempre meno rigogliosi via via che il deserto si fa desolato e pietroso finché non si arriva al mare di sabbia vero e proprio. Detta così pare semplice, in realtà le strade marocchine sono state impegnative almeno quanto i suoi anarchici frequentatori, fatica ripagata dalle abbondanti sorprese di casbah rosse, palmeti cinematografici e, su tutto, fugaci incontri con la gentile etnia berbera, che qui costituisce la quasi totalità della popolazione.



Le gole di Dadès sono, nel contesto di questo lungo trasferimento, un luogo alieno tanta è la concentrazione di persone - con macchina fotografica - per metro quadro. Ben poca è invece la gente forestiera che s'incontra a Rissani, la porta d'accesso al Sahara vero, quello dell'immaginario e dei film, che i berberi chiamano Lahmada. Di qui in avanti, attraversiamo 160 chilometri attraverso uno dei più bei paesaggi che il Marocco possa offrire fino all'Erg Chebbi, il nostro capolinea orientale, spettacolari dune di soffice sabbia rossa contro il cielo che va dal bianco accecante del mezzogiorno al blu carico del tramonto, prima di riempirsi di una stupefacente stellata e allora lo noti davvero che le stelle, qui, sono più stelle che altrove.

E pizzichi di sabbia negli angoli dei nostri zaini ci ricorderanno di questi luoghi quando giungeremo a Fès. Un bel cambiamento passare dal vuoto (quasi assoluto), all'assenza di vuoto (altrettanto assoluta). E' a Fès El-Bali, la città antica, che devono avere coniato l'espressione "trasportati dalla folla" perché questo succede costantemente nelle sue Medine, veri e propri labirinti di vie e viuzze dove non trova posto nemmeno uno spillo tanto sono affollate.



Se non si soffrono troppo queste situazioni, è bello e piacevole lasciarsi trasportare (perdersi direbbe qualcuno) in una realtà che nessuna parola può descrivere. Seguendo la fiumana finiamo in un mercato, uno dei tanti che abbiamo visto, ed è un ulteriore salto indietro nel tempo: bancarelle di spezie, ortaggi, frutta, oggetti e articoli per la casa, vestiti, scarpe esposte direttamente per terra, su sacchi di iuta, sportine o teli di nylon. Gli alimentari sono in mezzo a pentoloni fumanti in cui si cucina di tutto. Ogni singolo mercante o avventore sembra la comparsa di un film, su tutti il venditore d'acqua, testimone d'un mestiere che va lentamente scomparendo, bardato nel suo costume caratteristico e dotato di un orcio di pelle di pecora da cui spilla bicchieri di fresco liquido.

Sono tutte immagini che si piantano indelebili nella memoria, come lo spettacolo davvero unico della zona dei tintori vista dall'alto, che pare una tavolozza di colori dimenticata da un pittore: da solo, ripaga un viaggio in Marocco.

Indugiamo a Fès un giorno di troppo, poi è stata una corsa decisa verso la costa atlantica saltando le soste programmate a Meknes e Rabat, per assaggiare la divina Casablanca, ovviamente tutta bianca, la città più grande del Marocco, il cui passato coloniale è talmente evidente che ci si dimentica di essere in Africa.

Qui si respira un'atmosfera easy e vacanziera: migliaia sono gli europei che ci svernano.
Le battute finali del nostro viaggio ci vedono scendere lungo l'Oceano battuto dal vento. Le onde battono incessantemente sulla costa, sembrano voler fagocitare da un momento all'altro.

Una breve sosta ad Essauria, affacciata sull'Oceano, ci regala una città che, pur moderna, è evidentemente araba nei suoi suq, vicoli ritorti e botteghe artigianali, e offre un impatto sostanzialmente morbido col mondo marocchino. Ed è già ora di affrontare la rossa Marrakech.



Fortuna l'abbiamo lasciata per ultima: anche se Djam el fna colpisce più di quanto si possa immaginare, uno spettacolo dall’alba a notte fonda di musici e cantastorie, incantatori di serpenti e mangiafuoco, il tutto immerso in una folla brulicante, in cui noi turisti siamo solo portafogli da spremere, o polli da spennare che dir si voglia, proprio questo continuo assillo di venderti qualcosa, o di portarti da qualcuno che vende qualcosa, alla lunga è stato così sfiancante che abbiamo preferito chiudere il viaggio sul terrazzo dell'ostello bevendo qualche birra di troppo. (Pubblicato il 28 maggio 2014) - Letture Totali 128 volte - Torna indietro



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