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Blagoveschensk

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Breve racconto sulla Russia dalla Siberia più remota, quella di Blagoveschensk di Daniele( info@solosiberia.it )

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Sito o fonte Web: www.solosiberia.it Gli orari dei treni hanno caratteristiche inumane in questo paesino, infatti l’unico treno per recarsi a Blagoveschensk, capoluogo della regione, transita alle ore 5.20 del mattino! In seguito verrò a scoprire che in realtà c’è anche qualche altra possibilità durante la giornata, ma tutti prendono questo treno perché è il più economico, semplicemente non pensano neppure di salire sugli altri, che sono più veloci ma che costano anche più del doppio. Entrambi i prezzi, comunque, per chi è abituato all’euro sono insignificanti, ma posso capire invece le difficoltà della popolazione locale.
Per coprire i quasi 150 km che ci separano dalla riva dell’Amur impieghiamo quasi quattro ore, questa diramazione di ferrovia taglia a sud della linea transiberiana, attraversando l’ultima parte della pianura alluvionale dei fiumi Zeja e Amur. Una piatta distesa innevata e gelida, che non offre sussulti particolari allo sguardo, se non delle macchie scure costituite da boschi di conifere, intervallati da spazi completamente brulli e da assembramenti più radi di betulle.

Sul vagone, al calduccio, riesco a riappisolarmi un po’, ma quando scendiamo alla stazione di arrivo mi aspetta una situazione estrema, che mai avevo provato prima.

Forse per la vicinanza del grande fiume ghiacciato, su cui soffia un vento più freddo del solito, oppure per altre strane combinazioni atmosferiche, oppure per la mia ancora scarsa abitudine a queste temperature, comunque le poche ore passate in questa città si rivelano terribili. Già l’attesa dell’autobus nel piazzale della stazione è per me straziante, non riesco a respirare se non provando ogni volta un dolore alle narici, la parte alta degli zigomi, unica zona scoperta del viso, mi tormenta come se si stesse ghiacciando da un momento all’altro, gli occhi lacrimano in continuazione e in generale ho una sensazione di malessere tale che non riesco a trovare pace se non al momento della salita sull’autobus. Una volta al riparo sul mezzo, si rianima il mio desiderio di vedere e fotografare il fiume ghiacciato, lo stesso in cui sei mesi fa ho fatto il bagno in una torrida giornata estiva. Appena scesi, di fronte alla grande piazza che si affaccia sulla riva russa dell’Amur, capisco immediatamente che rimarrò ben poco allo scoperto. Il cielo fantasticamente terso e turchese rappresenta lo sfondo ideale per le foto alle sculture di ghiaccio e neve pressata che decorano la piazza nei mesi invernali: un orologio, una scritta cubitale “2005”, degli animali, finalmente corono il sogno di vedere e toccare le mitiche sculture di ghiaccio che adornano le città siberiane in inverno. Preso dall’euforia regalo attimi esilaranti ad Anastasija, che mi ha accompagnato, scivolando e cadendo più volte sul ghiaccio.

Mi precipito a fotografare il fiume ghiacciato, perché inizio già a non sopportare più la temperatura (saranno trascorsi 5 minuti dalla discesa dall’autobus), scatto 3 foto alla immensa lastra di ghiaccio innevata che divide Cina e Russia, ora diventata una strada su cui circolano camion e auto. Lo spettacolo meriterebbe una sosta contemplativa, ma rischio di perdere le dita delle mani…infatti dovendo scattare foto, mi sono tolto i guanti per schiacciare il pulsante della macchina fotografica e ora, anche se sono passati solo un paio di minuti, a esagerare, non ce la faccio più. Ricopro subito le mani ma non sento quasi più le dita, cerco di resistere ancora, voglio stare all’aperto a godermi questo luogo, penso che questa sensazione passerà e potrò rimanere qui ancora alcuni minuti. Invece è come se il gelo dalle mani si trasmettesse a tutto il corpo e mi sento davvero poco bene, una stranissima sensazione, sto male internamente anche se non sono in grado di percepire esattamente cosa non va e in che punto. (Pubblicato il 16 gennaio 2006) - Letture Totali 62 volte - Torna indietro

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