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Gli dei abitano qui

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Il racconto di un viaggio nel viaggio in Indonesia. Bali, particolarmente incentrato sull'induismo dei balinesi, con puntata finale a Lombock, l'isola dei gechi, di Maria Rapisardi - Inviato il 14 ottobre 2004 da Maria Rapisardi.

Gli dei abitano qui

Era da anni nell’aria questo viaggio. Sempre rimandato per favorire altre mete, è andato sempre più crescendo il desiderio di estendere i vagabondaggi a Bali, Paese descritto da amici con parole entusiaste e con un pizzico di nostalgia nella voce, finché - decisi a raggirare il freddo febbraio italico – non abbiamo fatto i bagagli: costumi da bagno, T-shirts, pareo, shorts ed i soliti golfini per proteggersi dall’aria condizionata dei locali (sempre notevole la capacità di una donna di stipare in poco spazio una marea di cose delle quali, la maggior parte, si riveleranno inutili tranne, si intende, la fedele macchinetta del caffè con relativa miscela preferita).



Fiumicino e l’aereo ci accolgono sotto una pioggia insistente e vento gelido di tramontana. Dopo 10 ore, la tappa a Bangkok. L’aeroporto rigurgita di gente che pare vaghi senza meta. Nel caldo che inizia a farsi sentire, arriviamo fino al desk per far vidimare la continuazione del volo e poi… arriviamo a Bali. In tutto ci sono volute circa 20 ore, ma ne abbiamo guadagnate ( o perse) ben otto. Fuori è ancora più umido che a Bangkok, e mi sento come coperta da gocce calde, ma in compenso notiamo con sollievo che non c’è inquinamento atmosferico.

Sfasati sia per la mancanza di sonno che per la lunga immobilità, iniziamo a scoprire un mondo dove predominano tutte le tonalità del verde, i colori di infiniti di infiniti fiori ed il nero delle statue: una vera tavolozza. Siamo a Bali, l’isola degli dei, dove molti animali sono sacri, dove si portano doni e si recitano preghiere propiziatorie persino agli spiriti del male per ammansirli, dove ogni casa ha diversi tempietti privati, più o meno grandi a seconda delle possibilità economiche del proprietario, ma che sovente occupano una superficie ben più grande della casa stessa.

Anche le strade straripano di templi e tempietti ai quali, diverse volte al giorno, i balinesi – o meglio, le balinesi in quanto è un compito esclusivo delle donne - portano cestini di foglie di palma intrecciate piene di fiori, frutti, riso e bastoncini d’incenso. Se i cestini contengono solo fiori, si tratta di offerta a divinità inferiori. La spiritualità permea ogni angolo e ogni momento: tangibile.



I balinesi… visi fanciulleschi che si tramutano in tratti incartapecoriti. Per noi europei credo sia difficile determinare con una certa approssimazione l’età reale della gente. Ti sembrano volti di fanciulli o giovinetti e poi di colpo: vecchi e grinzosi. I balinesi, poi, sono sempre sorridenti.

Con noi parlano volentieri. Imparano l’italiano, dicono, e non deve essere facile perché la loro lingua non prevede regole grammaticali, e i verbi non hanno coniugazione così dicono ieri andato, oggi andato, domani andato…. Beati loro e la loro semplicità. Sciorinano con orgoglio tutti i nomi dei calciatori (specialmente quella della Roma, ma forse perché diciamo tutti di venire da quella città e mi scusino i laziali…).

A Nusa Dua, sorge il nostro Albergo: il Putri Bali (ragazza balinese), in un immenso parco tropicale tranquillo e pulitissimo. Già la Hall, enorme, con soffitto a cupola altissima e aperta su tre lati verso giardini lussureggianti, laghetti interni sui quali si affacciano ristoranti e bar, ci conquista, come il sorriso e la disponibilità del personale in costume nazionale. Anche qui, ovunque statue di dee, scimmie, draghi e mostri vari.

II vialetti che portano alla vicina spiaggia sono ombrosi e silenziosi. La sabbia è finissima e bianca. Le mangrovie allargano la loro capigliatura e rendono meno intensi i impietosi raggi del sole che filtrano dal cielo grigio di nuvoloni. Sull’acqua calma galleggiano numerose ciotole colme di fiori, riso e bastoncini di incenso che il dio del mare raccoglie con piacere concedendo in cambio una pesca copiosa e il ritorno dei pescatori più sicuro. Intorno ai bar ed ai ristoranti, sempre vicino alla spiaggia, numerose statue trattengono fra le braccia gli stessi doni e tutte sono riparate da ombrellini che simboleggiano sia il sacro che la festa, a seconda del colore. Era questo l’Eden che abbiamo perduto in molte delle nostre città fumose e caotiche?

All’indomani, più riposati e già abituati al caldo-umido che personalmente trovo tollerabilissimo, ci incontriamo con una guida del luogo, Lupo, un ragazzo (ma forse pare solo a noi) che si fa chiamare così perché dice che il suo vero nome sarebbe troppo complicato, e con le sue indicazioni in italiano imperfetto, ma molto comprensibile, organizziamo diverse gite nell’interno.

È importante avere qualcuno del posto che sappia raccontarti e spiegarti le usanze, la vita, le tradizioni, e già che c’è che sappia guidare con la guida a sinistra per strade spesso sterrate, strette e trafficate. Alterneremo escursioni a giornate di completo relax fra scrosci di pioggia violentissimi e repentini apparire di un sole che arrostisce. Quando piove, le gocce paiono aghi sottili sulla pelle nuda. Impareremo a capire da quale parte arriverà e in quanto tempo ci raggiungerà… ed anche la proverbiale puntualità di Lupo.

Con sorpresa, siamo solo Walter ed io, insieme a Lupo e l’autista. Sono molto contenta perché almeno potrò porgli tutte le domande che voglio. Ho con me persino un mini-registratore. Fanatica proprio. Lupo sembra proprio felice di poter raccontare e più domando e più sorride. Appartiene ad un popolo lieto che trasmette letteralmente la sua disponibilità e la capacità di accettare quel tipo di vita nonostante i molti problemi. Sarà per la loro fede induista, ma non ho visto nemmeno un berlinese infelice o scontento. Le caste sociali di Bali (dove il 95% della popolazione è di religione indù) , sono 4 e non 5 come in India: più in alto ci sono i Bramini (sacerdoti), poi vengono i Ksatria (stirpe regale), i Weiysa ( mercanti) ed infine i Sudra (contadini).

Lupo appartiene a quest’ultima e, nonostante sappia leggere e scrivere in indonesiano, lingua ufficiale, oltre che parlare il dialetto del suo villaggio, conosce anche il Sanscrito, l’antica lingua dei Sacerdoti ormai relegata ai libri sacri. Racconta che è molto interessato agli antichi Testi e che ha un Maestro eccezionale che lo sprona allo studio per approfondire la conoscenza della religione (ma direi più propriamente della filosofia) indù. continua "Gli dei abitano qui" (Pubblicato il 14 ottobre 2004) - Letture Totali 69 volte - Torna indietro

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