Hoggar
Diario e racconto di un viaggio per i luoghi più e meno conosciuti e affascinanti dell'Hoggar dell'Algeria: Tamanrasset, Tam, Djanet, Imaloùlaouen..., di Annuska Grisendi - Inviato il 10 luglio 2004 da Annuska Grisendi.
Trascorro il pomeriggio per le strade affollate di Tamanrasset: c’è un gran movimento di gente del luogo, negozi e bar affollati. Da una stradina giunge il suono di vari strumenti: molti uomini con gandura e shesh bianchi danzano in cerchio, per i festeggiamenti di un matrimonio, al suono di tamburi e tamburelli; la gandura è stretta in vita da un cinturone di cuoio dipinto, da cui partono nappe pendenti e due bretelle incrociate sul dorso. Immagino che servano a reggere qualche pugnale o takouba, ma mi voltano le spalle e non riesco a vedere. Alcuni hanno un fucile. Molta gente si assiepa intorno, soprattutto ragazzi, che però si scansano subito e fanno scansare gli altri, appena si accorgono che voglio scattare qualche foto.
Affidandomi ad un tassista, riesco a trovare l’abitazione di Père de Foucault, il religioso che ha vissuto fra i Touareg gli ultimi anni della sua vita, prima di essere ucciso nel 1916, cercando di penetrare i segreti della loro cultura e del loro linguaggio, il “tamashek” o “tamahak”. E’ una semplice e massiccia costruzione in banco a forma di parallelepipedo, isolata entro un cortile chiuso da un muro, anch’esso in banco, che ne fa un’oasi di silenzio e di raccoglimento al centro della movimentata e colorata atmosfera di Tamanrasset. Il sole al tramonto conferisce al luogo un’uniforme e calda tonalità ramata. Quando Charles de Foucault la costruì, soprattutto per difendere gli schiavi dai soprusi della popolazione locale, era l’unico edificio in muratura , circondato da zeribe; ora l’oasi ospita 100.000 abitanti.
Alcuni bambini entrano da un cancello semiaperto e mi ruzzano intorno, curiosi e divertiti.
Poco oltre incontro un gregge di capre e costeggio una vasta area occupata da un mercato con centinaia di bancarelle, dove si vende e si compra di tutto. E poi c’è il grande oued che attraversa l’oasi, che un tempo era il mercato delle capre e dei cammelli e ora è diventato il parcheggio dei camion che vanno e vengono dal Niger. Ma quando si fa buio vedo scorrere nell’oued una carovana di cammelli. Peccato!
L’oscurità mi impedisce di vedere i colori degli abiti e dei shesh.
Avverto in questo centro un’aria familiare, che mi fa desiderare di restarci più a lungo, di impadronirmi delle strade dei vicoli dei mercati, di entrare nella sua anima pulsante. Ma ancora il mio cuore è vicino a Djanet, che ha intorno gli orizzonti di sabbie e rocce di quello che nel mio immaginario è il deserto. Tam invece è un’oasi di montagna, non ha il palmeto ed è dominata dalla sagoma compatta del monte Adrian, il cui profilo uniforme è interrotto da un’unica sella, a cui deve il suo nome: Ahmed, il capo degli autisti, mi ha spiegato che Adrian era un touareg a cui era caduto un dente, lasciandogli nella dentatura un buco, del tutto simile alla sella del monte. continua "Hoggar" (Pubblicato il 10 luglio 2004) -
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