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Sorpresa di viaggio in Messico

Racconti e Articoli di Viaggio

Un breve resoconto di vita vissuta a Veracruz, di casachinchio@virgilio.it, in un Messico molto diverso da quello più conosciuto di Palenque o Cancun. Una vera sorpresa di viaggio...

Sorpresa di viaggio in Messico

Il Dio dei viaggiatori riserva sempre qualche sorpresa a chi si mette in cammino. Solamente non fa capire quale essa sia né tanto meno dove la s'incontrerà. Così a noi non resta che osservare tutto, consapevoli che prima o dopo un volto, una frase o un luogo, immancabilmente ci rimarranno impressi, ovunque ci troviamo, anche nel posto più insospettato e banale.

Veracruz non è certamente quella che si può definire una città amena. Dopo diverse settimane passate tra Belize, Guatemala e Messico, tra gli antichi fasti di Tikal e Tulum, le costruzioni moderne di questa grossa città, non fanno certamente un grande effetto. Dopo la foresta del Petèn, il traffico e le fila di camion con due rimorchi ci fanno venire voglia di fuggire. Ma abbiamo deciso (o meglio IO ho deciso giacché nel frattempo sono stato ribattezzato 'Il Dittatore'), di frammezzare con una sosta la lunga strada che da Palenque scende al mare, per poi risalire sugli altipiani centrali sino a Città del Messico, dove il nostro viaggio avrà fine. Sulla carta, sembrava l'ideale: divideva il percorso in due tratte da 12 ore, e soprattutto la costa era l'ideale per un'ultimo bagno prima della fine delle vacanze.

Il mare ha causato la prima piccola delusione: non è più Caraibi, ma piuttosto scuro, cattivo e freddo, Atlantico. L'enorme macello cittadino poi, scaricando a mare gli scarti delle lavorazioni, attira troppi squali per i nostri gusti. Ora ci troviamo seduti su di una panca, intenti a fumare gli ingiustamente (a parer mio) famosi sigari locali, e a guardare scorci di una vita quotidiana che ci passa davanti. Non è male osservarla in una giornata normale, in una città qualunque. Così questo è già un piccolo regalo che il nostro Dio ci sta facendo. Credo che ben pochi 'non viaggiatori' sarebbero capaci di comprenderlo'...

Tappa intermedia dicevo prima. Così ieri sera siamo partiti da Palenque e abbiamo viaggiato tutta la notte. Più che un viaggio è stata una Via Crucis, molto più faticoso di quello da 16 ore tra il confine del Messico e Flores, poiché l'aria condizionata era al massimo (fuori c'erano almeno 30°): L'autista sosteneva che così stava sveglio, e che in ogni caso deve stare al massimo o spenta, a metà fa male! Dopo 15 minuti dalla partenza, quando ormai mi stavo rannicchiando su me stesso, quel pazzo di un conducente accende la radio, sparando a tutto volume una cassetta di zuccherose canzoni Americane rifatte in Spagnolo...

Manuela mi ha offerto un lembo di una coloratissima coperta comperata ad Antigua, ma io 'machamente' l'ho rifiutata sperando in un'imminente sosta. 'Ora si ferma, ora si ferma' mi ripetevo, ma i fari dell'autobus continuavano a tagliare il buio di quelle strade deserte, in quella notte artico-tropicale. 'Adesso si spacca il nastro' speravo, invece anche l'autista si era messo a cantare a squarcia gola. Mi sono chiesto perché gli altri passeggeri - tra l'altro erano tutti Messicani - non protestassero, e contravvenendo ad una mia personalissima regola che dice di non giudicare la mentalità delle altre popolazioni, ho formulato tre ipotesi: A) Chi paga un biglietto per un autobus con A/C, vuole l'A/C, tantopiù che per loro ha un prezzo certamente importante; B) In certi posti, e con alcuni tipi di democrazia, chi riveste anche un piccolissimo potere, ha l'autorità di trattare gli altri con dispotica tirannia, soprattutto se - come l'autista - indossa una divisa; C) Le ipotesi A e B possono coesistere.

L'albergo dove infine abbiamo preso posto, è uno spettacolo. La struttura è moderna ma decadente, mentre le stanze sono arredate alla meno peggio. In quella che dovrebbe essere la reception, più simile a un ufficio postale, fa da contrasto dietro a una vetrata anti rapina (!), una ragazza di una bellezza assoluta, tale da fare ammutolire. Mi chiedo se quel vetro serve a proteggere lei o la misera cassa. Ci siamo messi a bighellonare per la città, tanto c'è poco da fare e anche meno da vedere. Solo, mi chiedo dove sarà che i primi Spagnoli hanno piantato la loro croce, in sostituzione di una locale che serviva a segnare probabilmente un pozzo, chiamandola 'la vera croce', da qui Veracruz appunto.

Dopocena ci troviamo ancora seduti su di una panchina, questa volta nella piazza centrale. Un gruppo di anziani turisti americani entra in un bar. Qualcuno con l'arroganza tipica di chi si è arricchito senza badare troppo agli altri, dà ordini in maniera molto volgare ai camerieri. 'Spero ti sputino nel bicchiere' penso ad alta voce. Una famiglia di poveri venditori ambulanti, con al seguito mezza dozzina di figli, espone per terra la sua mercanzia, perlopiù oggetti di piccolo artigianato, stoffe, articoli in legno... Arrivano altri ragazzini: immagino siano cugini, data la confidenza. Si aggiungono altri bambini. Sembra non abbiano tanta voglia di seguire il commercio, perciò cominciano a giocare tra loro. 'Una bambina, incuriosita da quegli stranieri un po' atipici, e stranamente non seduti in qualche lussuoso bar, si avvicina a Manuela. Lei ci sa fare, e le confeziona una barchetta con un pezzo di carta raccolto a terra. La piccolina trotterella in mezzo al gruppo dei suoi amici, e subito arriva un'altra con un pezzo di carta in mano. A lei spetta un'aeroplanino... Arrivano tutti! Ognuno con un pezzo di carta, e sempre più urlanti. Raffaella prima, e tutti gli altri poi, si mettono a fare rane, aerei e navi di carta. Io non sono molto bravo e mi limito a costruire aerei dalle forme molto essenziali. Per scusarmi, prendo in braccio il più piccolo, al quale sembro essere simpatico, e gli faccio fare una piroetta molto veloce. Ora tutti vogliono salire sulle giostre umane. Rane e navi sono state per il momento messe da parte. Non so da quanto tempo sto continuando, ma sinceramente poche volte sono stato meglio. I miei amici si sono stancati, e io ho addosso tutti i bambini, tranne una che sta parlando con Ketty. Faccio per sedermi, ma un bambino mi urla qualcosa quasi piangendo e sporgendo le mani. Lo prendo in braccio, e un altro mi tira la maglietta. Uno e aggrappato alla schiena, mentre un'altro ancora cerca di salire dalla gamba... Sono coperto di polvere e sudore, ma soprattutto domani ci dobbiamo alzare presto (che novità), quindi è ora di andare.

Una bambina ci corre dietro in mezzo alla folla. Chiama Ketty.

Lei non capisce, si china per ascoltarla.

La bimba non dice nulla. La abbraccia per il collo, le dà un bacio e scappa via.

Ketty si alza. Si gira.

Sta piangendo... (Pubblicato il 05 maggio 2004) - Letture Totali 91 volte - Torna indietro

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