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Belfast. Irlanda

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Racconto di un'escursione a Belfast, in Irlanda del Nord, di Barbara Guerrucci

Belfast. Irlanda

Per quanto riguarda il mio viaggio in Irlanda, beh, sicuramente la tappa di Belfast è stata la più avventurosa e, col senno di poi, anche pericolosa. Al mattino molto presto siamo partiti da Dublino diretti ai Giant's Causeway (quelle conformazioni rocciose esagonali che sembrano tante cellette di un alveare) poi siamo scesi giù verso Belfast. Premetto che è già strano solo pensare che quel pezzo d'Irlanda sia in verità territorio inglese a tutti gli effetti, tanto che dobbiamo cambiare i soldi, le targhe delle auto sono diverse, l'intonazione dell'inglese è più British, i poliziotti sono degli autentici bobbies e circolano i tipici taxi che vediamo nelle strade di Londra, ma in realtà sei circondato dalla stessa campagna verde e rigogliosa, mucche, pecore, i caratteri somatici degli abitanti sono identici come identico è il tipo e lo stile di vita.

Siamo andati l'indomani di uno dei tanti anniversari in ricordo dei sanguinosi scontri tra Cattolici e Protestanti e dai mezzi di informazione sembrava che tutto si fosse calmato (il giorno prima c'era stata una vera e propria guerriglia con tanto di bombe e numerosi feriti) e poi si fa fatica a credere che in Europa e nella tranquillità e pacatezza dell'isola Celtica possano accadere certi eventi. La prima impressione è quella di entrare in una città fantasma: negozi chiusi e sbarrati; non un'anima in giro se non ubriachi; facce poco raccomandabili; zero turisti…

Abbiamo lasciato le auto in un parcheggio custodito e siamo andati nei "quartieracci" dove ci sono bellissimi murales che inneggiano all'indipendenza dell'Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna, auspicano l'instaurazione della Repubblica e l'unificazione all'Irlanda del Sud, ma dove c'è anche il muro che divide la parte Cristiana da quella Protestante della città. Non tirava una gran bell'aria. Ci sentivamo osservati anche se in giro c'erano quattro gatti. Camminando abbiamo trovato due giornalisti spagnoli che tornavano da un servizio proprio dalla zona calda. In effetti, il giorno prima era successo un po' di tutto. Ci hanno informati che era tutto relativamente tranquillo e che comunque, se c'era qualche disordine, dovevamo allontanarci con calma, senza correre né farci prendere dal panico. Ci hanno raccomandato di non fotografare niente, di non far confusione e di non essere troppo curiosi: una semplice passeggiata non dava certo fastidio a nessuno. Parte del gruppo è tornata indietro, noi abbiamo proseguito molto sul chi va là perché sembrava di essere capitati in Albania: sudici bimbi di 6-7 anni seduti su di uno scivolo tutto arrugginito ed incolore che fumavano o aspiravano colla tutti; giovani con la testa rasata e un ghigno poco gioviale, immobili sulle porte dei pubs apparentemente deserti; case con finestre e porte murate; giardini con l'erba alta e pieni di bottiglie; uno sporco ed un degrado indescrivibili.

Arrivati al muro della discordia c'era la strada che ci avrebbe subito riportati nel centro della città. Era chiaro che era stato il centro degli scontri del giorno prima visto che era in gran parte annerita dal fumo, c'erano vetri rotti per terra, una macchina rovesciata, barricate varie, ma ormai l'avevamo imboccata. In quel momento ho avuto seriamente paura. Sentivo che qualcosa non andava. Forse era solo la tensione accumulata, la stanchezza o il caldo di un sole che aveva deciso proprio in quel giorno di uscire in tutto il suo splendore, ma provavo un forte disagio e mi era presa una gran ballerina allo stomaco tanto che avvertivo l'impulso di correre. Sono sbiancata visibilmente, e gli altri hanno pensato che mi sentissi male. A quel punto li ho pregati di accelerare il passo perché non potevo star lì un minuto di più. Ad un certo punto è uscita una signora piccola da un negozietto che sembrava un garage e in modo sbrigativo ma accorato ci ha detto di sparire perché c'era della turbolenza nell'aria. Aumentiamo il passo. Venti minuti dopo, in lontananza ma nemmeno troppo, udiamo un boato cupo, scoppi, urla, vetri rotti...

Da quel momento mi hanno affibbiato il nomignolo di "strega malefica" ma non è ancora finita. Arriviamo in centro, visitiamo i vari monumenti della città completamente deserta (il corso principale ha grandi cancelli nero in cima ed in fondo in queste circostanze rigorosamente chiusi), ma fatichiamo a trovare un pub o un ristorante aperto per cenare. Alle 21,30 siamo andati a prendere le auto per tornare a Dublino, ma il parcheggio che doveva restare aperto fino alle 24 era stato chiuso alle 18 a causa del coprifuoco. La prospettiva di dormire a Belfast non allettava nessuno e poi dove andavamo in quel deserto di bei palazzi poco accogliente?

Abbiamo iniziato a chiedere in giro nei pochi pub aperti e quando il bobby si è materializzato, ci ha fatto capire che ci avrebbe aperto molto più volentieri se gli elargivamo "una lauta ricompensa" per il disturbo.

A parte questo episodio, tutto è andato per il meglio. Le poche persone con cui siamo riusciti a parlare ci hanno spiegato che spesso i residenti di Belfast prendono le ferie in occasione delle ricorrenze, e molti degli uffici e dei centri commerciali chiudono e i mezzi pubblici non circolano per evitare danni e sabotaggi. A me è sembrato tutto irreale. Credevo di vedere un film già visto, ma in questo caso non si trattava di finzione cinematografica.

Purtroppo. (Pubblicato il 10 gennaio 2004) - Letture Totali 47 volte - Torna indietro



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