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La strada degli Italiani

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Racconto di viaggio in Eritrea, di Adriano Socchi - Inviato il 13 gennaio 2004 da Adriano Socchi.

La strada degli Italiani

Sito o fonte Web: www.adrimavi.com All’aeroporto di Sana’a, prima di imbarcarci sul volo per Asmara siamo costretti a caricarci da soli gli zaini sui nastri scorrevoli che trasportano i bagagli all’interno della fusoliera dell’aereo. Ci sarebbe da discutere sul metodo, forse un po’ antiquato, ma sicuramente efficace, per non smarrire le valigie ma, pur non essendo ancora arrivato, tra me e me penso: rieccomi in Africa.



In Eritrea, la prima cosa che salta agli occhi è la guerra. La strada che collega l’aeroporto con Asmara è costellata di hangar delle Nazioni Unite, di stanza nel paese come forza di pace. Lungo i viali di Liberation Avenue le jeep bianche con la sigla U.N. (United Nations) passano di continuo. I segni della guerra sono ancora più visibili fuori della capitale. Sulla strada Keren - Massawa si vedono carri armati e cannoni abbandonati nei campi. La campagna e le montagne nascondono tutt’oggi mine e munizioni inesplose, nonostante gli impegni assunti dal governo per lo sminamento del territorio.

La strada degli italiani, dunque, perché agli Italiani si deve - a partire dal 1036 - la costruzione della principale arteria stradale del paese, un capolavoro d’ingegneria civile. Non è la sola: basta pensare alla ferrovia che ancor oggi corre, in più punti, parallela alla strada, e alla teleferica costruita per il trasporto delle merci dal porto di Massawa ad Asmara, la più grande mai creata al mondo, purtroppo smantellata dagli Inglesi.



La strada degli Italiani sale dai 1.220 metri di Keren ai 2.356 di Asmara per poi scendere, in appena 115 km, fino alla città portuale di Massawa. Lo slogan lanciato dell’ente del turismo Eritreo "tre stagioni in due ore" è quanto mai azzeccato. Il viaggio dall’altopiano centrale al mar Rosso è in grado di suscitare emozioni a chi, come noi, è in cerca di paesaggi umani e naturali al di fuori delle rotte più battute del turismo.

Partiamo da Keren. La città, dimessa e misera com’è, col suo sparso abitato aggrappato ai fianchi della montagna, si offre a quanti sono in grado di apprezzare uno spicchio d’Africa ancora autentico. Non c’è niente da vedere, neppure il mercato merita una visita. Non vediamo le donne di etnia Bilene, vero motivo per cui ci siamo spinti fin quaggiù, eppure quella sua atmosfera riservata e nostalgica la rende affascinante. Prima di partire rendiamo omaggio al cimitero di guerra in cui sono sepolti soldati italiani e ascari (gli indigeni eritrei che combattevano affianco alle nostre truppe). Girando per il camposanto, i nostri animi si riempiono di orgoglio e fierezza ci sentiamo più che mai Italiani.

Per andare ad Asmara noleggiamo un taxi, viaggio che si rivelerà assai più lungo del previsto a causa delle tante ed impreviste soste, la prima appena fuori l’abitato del paese, quando il nostro autista è costretto a frenare bruscamente contro una fune alzata improvvisamente dai militari di guardia ad un checkpoint. Nessuno si fa male, ma il fatto accende un’accesa discussione tra il tassista e le guardie. Pagato senza alcuna motivazione un pedaggio, ripartiamo, ma ben presto siamo di nuovo fermi per una foratura. Bambini scalzi e mal vestiti corrono intorno alla macchina per farci festa. E’ commovente osservarne l’espressione meravigliata, nel vedere le immagini di loro stessi riprodotte sul monitor della videocamera di Mavi. Le capanne del villaggio hidmo hanno il tetto di terra sorretto da pali di legno.



D’ora in avanti, nonostante nessun inconveniente, continueremo a procedere sempre molto lentamente ora fermi, sul ciglio della strada, a fotografare la carcassa di un carro armato, ora per ammirare un bel paesaggio, e ora per visitare un caratteristico mercato. Di tanto, in tanto, greggi di muli, mucche e pecore, indifferenti di trovarsi proprio in mezzo alla strada, ci rallentano e arriviamo ad Asmara quando è ormai scuro.

Se l’appellativo di "piccola Roma" è senza dubbio esagerato, di certo, la capitale dell’Eritrea ricorda molto una città italiana degli anni '30 perchè tutti gli edifici e le opere sono rimaste tali e quali come quando gli Italiani se ne sono andati. Visitare Asmara è un viaggio a ritroso nel tempo, in un passato che un po' è anche nostro perché appartiene ai ricordi dei nostri genitori, perché l'abbiamo studiato sui libri di storia e ripetutamente visto nei documentari alla televisione.

Mentre visitiamo la cattedrale latina di stile romanico-lombardo (opera del Mazzetti), la cattedrale copta (Enda Mariam), la sinagoga e la Grande Moschea (Kulafah Al Rashidin), e il suono della campane si sovrappone e confonde con la voce dei muezzin emanata dagli altoparlanti dei minareti e con le preghiere dei monaci ortodossi, ci chiediamo come mai in altre aree del mondo la coesistenza tra differenti religioni è impossibile...



Asmara non si apprezza però per le sue opere architettoniche, neanche per il pur caratteristico mercato, in particolare nella zona del Medeber, ma passeggiando su e giù per Liberation Avenue, facendo conoscenza con la gente del posto, per lo più gli anziani che parlano perfettamente italiano. Tra questi, un negoziante di scarpe che parla perfettamente il dialetto napoletano - senza voler offendere nessuno, la scena è divertentissima - ci accoglie in maniera ossequiosa poiché ci considera compatrioti e non stranieri.

Rimpiange l’epoca del colonialismo in cui l'Italia portò loro molte cose positive come sviluppo, progresso, benessere. A quei tempi, la nazione era uno degli stati leader africani. Poi Mussolini portò anche l’Apartheid, ma in definitiva il negoziante critica i nostri governi, tutti, per aver abbandonato i propri coloni a dispetto di nazioni come Inghilterra e Francia che, invece, hanno continuato a tutelare le proprie colonie. continua "La strada degli Italiani" (Pubblicato il 13 gennaio 2004) - Letture Totali 121 volte - Torna indietro

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