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Pizzo Bernina

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Breve racconto relativo alla salita al Bernina, uno dei 4.000 delle Alpi, di Uliano Massimi - Inviato il 17 giugno 2006 da uliano65.

Pizzo Bernina

Immersi nella nebbia procediamo a passo spedito verso i 2.800 mt del rifugio Marinelli-Bombardieri. Siamo in quattro: io, Lorenzo, Carlo e Arnaldo.

Attraversiamo un bosco di larici e abeti e ben presto raggiungiamo la brughiera caratterizzata da bassi esemplari di pino mugo, intercalato da piante di mirtillo, rododendro, ginepro. Tutt'intorno grandi estensioni di sfasciumi trasportati dalle enormi masse di ghiaccio del quaternario. Questo e' il regno della marmotta. A volte udiamo i suoi inconfondibili richiami di allarme. D'improvviso sopra un enorme masso eccola spuntare. Si solleva sulle sue zampette posteriori e guarda allarmata gli intrusi. E' piuttosto grassa. Le sue riserve di grasso accumulate durante la stagione estiva gli serviranno per superare indenne il lungo letargo invernale. A tratti le nuvole si diradano lasciando trapelare parte del paesaggio circostante che non abbiamo il piacere di ammirare. Superato il rifugio Carate Brianza scorgiamo, sopra un piccolo ammasso di rocce, i resti dell'elicottero dell'alpinista Luigi Bombardieri precipitato con il pilota mentre effettuava un volo ricognitivo. Alcuni laghi alpini compaiono tra una schiarita e l'altra mentre qualche decina di metri piu' in alto appare l'inconfondibile sagoma del rifugio Marinelli-Bombardieri. Un cielo terso ci accoglie la mattina successiva. Superato il passo Marinelli Occidentale davanti ai nostri occhi si spalanca un paesaggio ammaliante. Una serie di cime montuose fanno da cornice alla Vedretta di Scerscen Superiore, un immenso altopiano di ghiaccio. In lontananza la Vedretta di Scerscen inferiore con altre cime innevate.

Risalendolo passiamo vicini ad enormi crepacci pronti ad ingoiarci in un sol boccone. Un ripido canale alto piu' di 500 mt porta sulla cresta tra il Pizzo Bernina e la vetta dello Scerscen di poco piu' basso. Comincia la ripida salita su roccette con passaggi di II e III grado assicurati dalle catene fisse. Su uno sperone roccioso a 3.600 mt , sotto la spalla del Bernina, il rifugio Marco e Rosa attende l'arrivo degli alpinisti. E' piuttosto angusto se rapportato al numero di persone che continuano ad arrivare. Il nuovo rifugio sara' pronto il prossimo anno. Sciogliamo la neve per procurarci l'acqua potabile inimicandoci il gestore che considera il nostro gesto offensivo nei suoi riguardi. Anzi per le sue tasche replichiamo noi. Intanto le montagne attorno sono state completamente avvolte nella nebbia. Dormiamo come mummie senza la minima possibilita' di girarci senza colpire il nostro vicino. Ma la bellissima giornata che ci accoglie la mattina successiva ci fa dimenticare una notte stressante e almeno per me piuttosto insonne. Dopo una abbondante colazione comincia la salita verso la vetta. Io e Lorenzo siamo un poco in ritardo, cosi' Carlo e Arnaldo dopo essersi legati in cordata salgono in conserva verso la parte piu' ripida del ghiacciaio. La cresta Guzza e' ammantata di ghiaccio.

Alcuni alpinisti traversano sotto la sua parete settentrionale seguendo il circuito Bellavista che dopo aver attraversato a mezza costa la cresta Guzza e il pizzo Zupo' raggiunge attraverso un valico la vedretta del Fellaria e quindi attraverso il passo di Sasso Rosso arriva al bivacco Pansera. Un forte vento sconvolge tutto il versante sollevando turbini di neve polverosa. Raggiungiamo la base del breve canale che ci permette di affacciarci sulla parete settentrionale. Superato il passaggio ci troviamo sul "nido del condor". La vista ci toglie il respiro. Montagne ammantate di ghiaccio si ergono tutt'intorno. Fiumi di ghiaccio scendono verso valle spalancando centinaia di "bocche" verso gli abissi.

In alto, tra i sibili del vento, compare l'affilatissima cresta che porta in vetta. Intanto, alla base delle roccette, Arnaldo sta aspettando che Carlo raggiunga un buon punto per attrezzare una sosta. Dopo pochi metri, forse demoralizzato dagli altri alpinisti che ritornano indietro a causa del forte vento, Lorenzo decide di non proseguire. Senza esitazione sciolgo la corda che mi tiene legato a lui e proseguo slegato. E' mia intenzione raggiungere al piu' presto gli altri due compagni e legarmi a loro. Passo dopo passo, in bilico tra la vita e la morte, comincio a risalire il ripido pendio diventato pericoloso a causa del continuo passaggio degli alpinisti che hanno deteriorato lo stato della neve. La neve mulinella davanti alla mia faccia brinandomi gli occhiali e impedendomi in parte la visibilita'.

Chiamo Carlo circa 20 mt sopra di me ma il vento trasporta lontano la mia voce. Continuo a salire evitando di guardare la parete sotto di me. Chiamo ora Arnaldo che fortunatamente mi sente. E' stupito forse piu' di me, soprattutto quando vede che procedo da solo e senza sicura. Tiro un sospiro di sollievo mentre mi lego ai miei due compagni. Un sentiero battuto nella neve di circa 30 cm separa i due precipizi. Raffiche improvvise ci costringono ad abbassarci di colpo, piantare la piccozza e aspettare. Ogni qualvolta ci incrociamo con gli alpinisti di ritorno dalla vetta siamo costretti ad effettuare dei numeri di equilibrismo per non cadere nel vuoto. Tutta la cresta del Pizzo Roseg e' ben visibile in tutta la sua magnificenza.

Terminata la cresta risaliamo una china rocciosa e di li' a poco siamo in vetta. (Pubblicato il 17 giugno 2006) - Letture Totali 68 volte - Torna indietro

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