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Dadà, la signora di Salvador

Racconti e Articoli di Viaggio

Brevi impressioni raccolte durante la permanenza a Salvador, nello stato di Bahia, Brasile, di Dario Claudio Bonomini - Inviato il 20 novembre 2004 da 1311.

Dadà, la signora di Salvador

Una rivista di viaggi portata dall'Italia, consigliava, per chi si fosse recato a Salvador, una visita di piacere a Dadà, una delle donne più conosciute della città.

Dopo alcuni giorni trascorsi in un' atmosfera indubbiamente magica e provocante, ma non proprio all'insegna della buona tavola, era arrivato il momento di violare il "tempio" della cucina bahiana.

Paulinho, il motorista, che grazie ad un telefonino cellulare era sempre disponibile con il suo taxi per veloci trasferimenti nelle notti di Bahia, aveva abitato lì, in quel barrio, per otto anni. Non appena sentì - Alto das Pombas, bairro da Federacao - capì subito che la cena, quella limpida notte, si sarebbe consumata da Dadà.

Una strada laterale, abbandonato un viale a più corsie molto trafficato, saliva leggermente costeggiando numerose botteghe di fiorai e fabbricanti di casse da morto, ancora aperte e illuminate. Intuire la vicina presenza di un cimitero, forse subito dietro quelle basse case, senza poterlo vedere per l'oscurità, rendeva lo stravagante quartiere, comunque pieno di gente di luci e di vita, allegramente macabro.

Paulinho si fermò davanti ad una casa bianca abbastanza anonima.

Dalla porta di ingresso, dopo un breve corridoio, si ritornava all'aperto, in un piccolo cortile interno che si allungava con una specie di terrazza, a dominare dall'alto quella parte di città attraversata poco prima in auto.

In un angolo, un po’ appartate, due bambine ben vestite, stavano sedute ai lati di una donna che indossava un abito a colori vivaci e aveva la testa fasciata dal tipico turbante delle nere bahiane. Mangiavano svogliatamente, e la donna, che sicuramente fin dall'infanzia aveva imparato come non avere il piatto vuoto fosse già l'inizio del benessere, cercava a fatica di imboccarle. Poteva sembrare la loro tata, e invece era la "regina" di tutte le cuoche di Bahia. Dadà.

Bassa, il viso di pece piccolo e un po’ schiacciato, gli occhi furbi e il sorriso reso smagliante dalla dentatura bianchissima, sentendo parlare italiano si alzò premurosamente. Eh sì, si ricordava benissimo, e come poteva essere altrimenti, di quella rivista che la faceva conoscere così lontano, lodando la sua cucina e il suo bel ristorante. L'impressione era che, con il successo, il tempo passato personalmente ai fornelli fosse diminuito a favore del tempo dedicato alle pubbliche relazioni. Qui viene la Bahia che conta, e quella che canta, la Bahia famosa e ricca, non proprio quella povera e nera che vive tutt'intorno. I prezzi, non alla portata di tutti, favoriscono forse volutamente una selezione naturale della clientela, e i tavoli sono occupati solo da brasiliani bianchi.

La famosa aragosta di Dadà richiede il sacrificio di una breve attesa, ma la sete non può attendere e deve essere subito calmata da una caipirinha carica carica, il cui effetto è micidiale anche a causa dello stomaco ancora desolatamente vuoto.

Come prima conseguenza, si hanno quasi immediatamente strane allucinazioni.

Cosa sono quelle macchie scure che si muovono così velocemente, in un frenetico saliscendi lungo il muretto accanto alla tavola? Sono baratas, scarafaggi grossi come un pollice, che risaltano alla luce con un bel color bronzo. L'odore gradevole che esce dalla cucina è quasi completamente coperto da quello ben più penetrante di orina e disinfettante che sale da sotto le assi un po’ sconnesse di questa improvvisata terrazza, protesa nel buio come un trampolino sulle pendici del morro.

La musica axè accompagna l'aragosta e la moqueca di gamberi, troppo salate e pesanti, e l'alcool che si è costretti a far scendere copioso, viene subito assorbito e risudato come acqua da una spugna. Ora la mente è finalmente preparata ad accogliere ciò che gli occhi incominciano a "vedere". Il profilo snello dei grattacieli illuminati dei quartieri nuovi, è lambito in alto da un meraviglioso cielo stellato, mentre in basso, l'oscurità profonda punteggiata dalle rare e fioche luci di una favela si espande come una grande macchia, risalendo il pendio verso questa sorta di belvedere panoramico pieno di gente che mangia e ride.

Due metri più in basso, in mezzo a panni stesi, bottiglie vuote e rifiuti di cibo, grossi topi, agili come scoiattoli, saltellano allegramente. (Pubblicato il 20 novembre 2004) - Letture Totali 68 volte - Torna indietro

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